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La concezione della malattia mentale in realtà non è mai mutata completamente, neppure dopo la legge Basaglia del 1978. La storia di Giusy Fasolo ce lo insegna, dandoci le colpe che abbiamo, privandoci dei paraventi dietro i quali noi del settore della psichiatria e della psicologia spesso ancora oggi ci nascondiamo. Tracciata, così, la nostra prima colpa. Il disavanzo tra malattia e umanità, relativamente a due fronti che vedono contrapposti chi ritiene di avere il compito di "sostenere clinicamente la patologia psichiatrica" e chi pensa di dover difendere la dignità di colui che viene etichettato come disagiato, in realtà fa ancora fatica a trovare compensazione, se non una unione concettuale. Vi sono taluni operatori che guardano al soggetto pensando prima alla nomenclatura del suo disagio psichico e poi, eventualmente e se resta tempo, all'umanità calpestata che smette di assumere le forme di dignità, diritto e voce. E qui è necessario assumersi una seconda colpa. Il malato mentale è spesso considerato - prima ancora di essere una persona solo un oggetto che procura fastidio, un successo o un non successo terapeutico.